sabato 4 aprile 2009

Il Sogno


C’è chi lo ritiene una sintesi della giornata trascorsa, chi una rappresentazione di una storia inventata, chi una rappresentazione della realizzazione di un desiderio o l’espressione di emozioni o di paure inconsce. Quello che sembra essere certo è che per ogni persona assume una valenza ed un significato individuale.
Neuropsichiatri e neuropsicologi convenzionalmente lo dividono in sonno lento (o slow waves sleep, NREM, ortodosso) e sonno rapido (o fast waves sleep, REM, paradosso). Quello che lo caratterizza è la struttura ciclica. Infatti durante la stessa notte si susseguono 4-6 cicli della durata media di 60-90 minuti ciascuno. Ogni ciclo presenta una fase di sonno lento a cui segue una fase di sonno paradossale. L’organizzazione interna dei cicli varia nel corso della notte. Aserinsky e Kleitman (1953 e 1955) furono i primi a descrivere le fasi REM nell’uomo e ne ipotizzarono la correlazione con il sogno. Essi trovarono, infatti, che nell’80% dei casi i soggetti risvegliati durante la fase REM ricordavano un sogno, mentre, se il risveglio avveniva durante il sonno NREM, i soggetti che ricordavano un sogno erano solo 20%. Essi utilizzarono, tuttavia, dei criteri molto stretti per definire come sogno quello che il soggetto riferiva: per essi era sogno solo ciò che era vivace, allucinatorio, ben ricordato. Successivamente il materiale più simile al pensiero meno drammatizzato (che dai primi studiosi era stato considerato come mancanza di ricordo di sogno o al massimo come ricordo frammentario di materiale di precedenti periodi REM), che è caratteristico del sonno lento fu rivalutato da Foulkes (1962 e 1966), Rechtschaffen e al.Secondo tali autori, il materiale raccolto durante il sonno NREM sarebbe l’espressione di un’attività mentale elaborata al di fuori del sonno REM. Questa attività è spesso sotto forma di pensiero astratto e si riferisce (senza le distorsioni e la risonanza affettiva tipiche del “sogno” della fase REM) a fatti della vita quotidiana. Alcuni resoconti, ottenuti dopo risvegli durante sonno NREM, presentano un’attività mentale simile a quella dei sogni (dream-like, REM-Iike), praticamente indistinguibile da quella ottenuta dai risvegli REM . Nel 1962 Foulkes trovò dei ricordi di attività mentale, dopo risveglio, durante fasi di sonno NREM nel 74% dei casi.
Un’ altro aspetto che spesso viene tralasciato è quello che non è possibile stabilire quando il sogno compaia per la prima volta nel corso dello sviluppo dal momento che non esistono fattori, prima della comparsa del linguaggio, che possano indicare l’inequivocabile presenza di esperienze mentali durante il sonno. Certe espressioni fisionomiche che il bambino assume nel dormire, ad esempio i frequenti sorrisi, non ci permettono di inferire ne una spiegazione in termini di attività mentale, ne una spiegazione in termini di semplici automatismi senso-motori. I primi sogni, riportati nella letteratura non sperimentale e riconosciuti dagli autori come incontestabili esperienze oniriche, si collocano intorno ai due anni di età, mentre i primi sogni, registrati e riportati in seguito a ricerche sperimentali, si riferiscono a bambini dai tre ai quattro anni. Il sogno infantile non è un evento costante per caratteristiche di contenuto e struttura, ma è piuttosto un’esperienza che si modifica, si evolve e si complica parallelamente alle tappe del generale sviluppo affettivo-cognitivo.
Stando a Freud, il sogno non é l'inconscio e basta, ma é solo una delle sue manifestazioni la quale, se opportunamente interpretata, permette di accedere ai contenuti repressi e al modo di lavorare dell'inconscio stesso. Durante il sonno infatti la censura messa in atto dalla coscienza si affievolisce e così l'inconscio, coi suoi desideri rimossi, preme con più intensità e genera tensioni; il sogno, presentando all'immaginazione come realizzati i desideri inconsci, rende possibile la liberazione di queste tensioni e in questo senso, il sogno viene concepito da Freud come l'appagamento di un desiderio. Nello stesso tempo questa realizzazione si attua in forma allucinatoria, tramite mascheramenti e deformazioni, effettuate dalla censura della coscienza stessa che, sebbene affievolita, può ancora dire la sua.Il fine di queste deformazioni é di rendere accettabili alla coscienza i contenuti rimossi. In ciò consiste il lavoro onirico. Il sogno ha un contenuto manifesto, quale appare al sognatore che racconta il proprio sogno ed esso può risultare incoerente o anche prendere la forma di una storia dotata di una certa coerenza, ma il racconto dei propri sogni fatto dai sognatori é sempre un'elaborazione secondaria, ovvero un rimaneggiamento che porta a renderli, in linea di massima, comprensibili.
Nella letteratura scientifica e narrativa molti sono i sogni famosi come quello di Otto Loewi, Premio Nobel: “ la notte prima del sabato di Pasqua di quell’anno (1920), mi svegliai, accesi la luce, e scarabocchiai poche righe su un foglietto di carta. Poi mi riaddormentai. Ero consapevole, alle sei del mattino, che durante la notte avevo scritto qualcosa della massima importanza, ma non fui in grado di decifrare lo scarabocchio. La notte successiva, alle tre, la stessa idea mi ritornò. Era il disegno di un esperimento per determinare se l’ipotesi della trasmissione chimica, che avevo formulato 17 anni prima, era corretta. Mi levai immediatamente, andai al laboratorio, ed eseguii un semplice esperimento sul cuore di rana secondo il disegno”.
Oppure i sogni fatti da Primo Levi (1958) e da lui descritti nei suoi libro "Se questo è un uomo" e "La tregua". Il primo sogno riguarda il periodo della sua detenzione presso un campo di concentramento nazista, l’altro è stato invece fatto al suo ritorno a Torino alla fine della prigionia. In "Se questo è un uomo" Primo Levi racconta che di notte, insonne, deve cercare di conquistarsi un suo spazio nel pagliericcio, spinto da un compagno di prigionia di cui non conosce il viso, ma solo il suo dorso e i suoi piedi che premono sul suo corpo. Data la limitatezza dello spazio. Lo scrittore riesce finalmente ad addormentarsi dopo aver trovato una sua posizione e comincia a sognare: Il treno sta per arrivare, si sente ansare la locomotiva, la quale è il mio vicino. Non sono ancora tanto addormentato da non accorgermi della duplice natura della locomotiva. Si tratta precisamente di quella locomotiva che rimorchiava oggi in Buna i vagoni che ci hanno fatto scaricare la riconosco dal fatto che anche ora, come quando è passata vicino a noi, si sente il calore che irradia dal suo fianco nero. Soffia, è sempre più vicina, è sempre sui punto di essermi addosso, e invece non arriva mai. Il mio sonno è molto sottile, è un velo, se voglio lo lacero. Lo farò, voglio lacerarlo, così potrò togliermi dai binari. Ecco, ho voluto, e ora sono sveglio; ma non proprio sveglio, soltanto un po’ di più, al gradino superiore della scala fra l’incoscienza e la coscienza. Ho gli occhi chiusi, e non li voglio aprire per non lasciar fuggire il sonno, ma posso percepire i rumori: questo fischio lontano sono sicuro che è vero, non viene dalla locomotiva sognata, è risuonato oggettivamente: è il fischio della Decauville, viene dal cantiere che lavora anche di notte. Una lunga nota ferma, poi un’altra più bassa di un semitono, poi di nuovo la prima, ma breve e tronca. Questo fischio è una cosa importante, e in qualche modo essenziale: così sovente l’abbiamo udito, associato alla sofferenza del lavoro e del campo, che ne è divenuto il simbolo, e ne evoca direttamente la rappresentazione, come accade per certe musiche e certi odori. Qui c’è mia sorella, e qualche mio amico non precisato, e molta altra gente. Tutti mi stanno ascoltando, e io sto raccontando proprio questo: il fischio su tre note, il letto duro, il mio vicino che io vorrei spostare, ma ho paura di svegliarlo perché è più forte di me. Racconto anche diffusamente della nostra farne, e del controllo dei pidocchi, e del Kapo che mi ha percosso sul naso e poi mi ha mandato a lavarmi perché sanguinavo. È un godimento intenso, fisico, inesprimibile, essere nella mia casa, fra persone amiche, e avere tante cose da raccontare: ma non posso non accorgermi che i miei ascoltatori non mi seguono. Anzi, essi sono del tutto indifferenti: parlano confusamente d’altro fra di loro, come se io non ci fossi. Mia sorella mi guarda, si alza e se ne va senza far parola. Allora nasce in me una pena desolata, come certi dolori appena ricordati della prima infanzia: è dolore allo stato puro, non temperato dal senso della realtà e dalla intrusione di circostanze estranee, simile a quelli per cui i bambini piangono; ed è meglio per me risalire ancora una volta in superficie, ma questa volta apro deliberatamente gli occhi, per avere di fronte a me stesso una garanzia di essere effettivamente sveglio. Il sogno mi sta davanti, ancora caldo, e io, benché sveglio, sono tuttora pieno della sua angoscia: e allora mi ricordo che questo non è un sogno qualunque, ma che da quando sono qui l’ho già sognato, non una ma molte volte, con poche variazioni di ambiente e di particolari. Ora sono in piena lucidità, e mi rammento anche di averlo già raccontato ad Alberto, e che lui mi ha confidato, con mia meraviglia, che questo è anche il suo sogno, e il sogno di molti altri, forse di tutti. Perché questo avviene? perché il dolore di tutti i giorni si traduce nei nostri sogni così costantemente, nella scena sempre ripetuta della narrazione fatta e non ascoltata?Dott. Lorenzo Flori
(Levi, 1958, pp. 53-54).

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