
Legate a queste variabili vi sono i fattori affettivo-emozionali evidenziati dalle maggior parte delle ricerche di psicosomatica dei tumori; quelli conseguenti ad una importante perdita affettiva in cui il soggetto reagisce allo stress con uno stile hopelessnessl/helpiassness (Schspiro et sI., 2002; Celton & Schapiro, 2002).
Più volte è stato menzionato il termine stress; per stress si intende una reazione finalizzata alla risposta verso stimoli che riguarda l’intero organismo e coinvolge più sistemi, sia fisici, sia chimici, che ne possono compromettere l’equilibrio. La reazione di stress può essere definita come pre-programmata poiché, pur potendo essere modificata con l’apprendimento, coinvolge sistemi nervosi e neuroendocrini ed un complesso articolato di reazioni. Lo stress è una reazione sia biologica, sia psicologico/comportamentale e da risposta adattiva può trasformarsi in cofattore patogenetico in numerose patologie. Infatti il DSM-IV prevede l’asse descrittivo IV per indicare presenza e grado di stress psicosociali.
Quindi per stress si intende una risposta di un sistema ad una sollecitazione ambientale che tende a portare il sistema stesso lontano dal suo intervallo di funzionamento ottimale. Nel caso di un organismo vivente ciò si traduce in una reazione che cerca di riportare il funzionamento nell’intervallo ottimale; rappresentando la reazione di un organismo ad ogni stimolo che tende a disturbare la situazione omeostatica, o che si confronta con i suoi particolari desideri o bisogni in un determinato momento. Gli stressors possono essere considerati fattori di crescita e maturazione cerebrale nella misura in cui ogni stimolo ambientale richiede all’organismo una modificazione ai fini dell’adattamento (mantenere l’omeostasi). L’interazione di questi stimoli (interni o esterni) con il sistema cognitivo/emozionale del soggetto induce una varietà di modificazioni biologiche, nervose, endocrine e metaboliche allo scopo di massimizzare la capacità di risposta dell’individuo e la probabilità di successo nell’adattamento.
Quando si parla di stress bisogna tener presente che:
La reazione allo stress è aspecifica e, in caso di successo della risposta adattativa nel ripristinare lo stato precedente, è anche transitoria, tendendo a recedere una volta scomparso lo stimolo; essa costituisce la reazione acuta allo stress Non sempre è possibile ritornare ad uno stato di funzionamento considerato ottimale, per cui la reazione allo stress non si disattiva integralmente.
In questo caso l’adattamento avviene nei confronti di uno stato di funzionamento meno che ottimale e le parti della risposta allo stress che permangono e si modificano costituiscono la reazione cronica allo stress, predisponendo allo sviluppo di patologia (uno stato di funzionamento ai limiti dell’intervallo di funzionalità è a maggior rischio di danno sistemico) o costituendo esso stesso la patologia (patologia da stress, disturbi ansiosi e depressivi).
Il supporto sociale è il fattore psicologico per il quale è maggiormente attestato il ruolo prognostico positivo nei pazienti oncologici, essendo in grado di ridurre lo stress psicosociale.
Inoltre bisogna tener presente questa piccola finestra che segue per comprendere le miriadi di possibilità di interazione che il nostro organismo opera continuamente tra noi e il mondo, ovvero, il sistema immunitario è formato dalle cellule immunitarie (linfociti), dagli organi linfoidi primari (timo, midollo osseo) dove vengono prodotte e dagli organi linfoidi secondari dove migrano successivamente (linfonodi, tonsille, milza, appendice, placche di Peyer dell’intestino ed altri aggregati di tessuto linfatico distribuiti in tutto il corpo).
I linfociti si compongono di sottopopolazioni: linfociti B che producono gli anticorpi, i linfociti T citotossici che uccidono le cellule infettate (microbi intracellulari), i T helper che producono e secernono citochine, sostanze solubili che servono ad attivare altre cellule, i NK (natural killer) che provocano la lisi e la morte per apoptosi (programmata) di cellule malate o infette, i fagociti che inglobano e distruggono gli antigeni estranei ed altre cellule ancora.
Questi meccanismi sembrerebbero essere suscettibili e condizionati anche da uno stile di coping di tipo helpessness/hoppeleness improntato sul sentimento di disperazione e mancanza di speranza. Tale costrutto si mette in relazione sul piano immunobiologico con una alterazione dei sistemi noradrenergico, dopaminergico, degli oppiodi endogeni (encefaline), dell’asse ACTH-cortisolo e della soppressione dell’immunità cellulare (bassa attività dei Natural Killer). Diverse ricerche sugli animali hanno dimostrato come lo stress faciliti la comparsa di neoplasie e una precoce metastizzione mediante la depressione delle attività dei linfociti NK. Al contrario gli oppiodi endogeni, potenziando l’attività di questi ultimi, inibiscono la crescita dei tumori sperimentali (Bressi e Cattaneo, 2002; Berard, 2001).
Il verificarsi dell’aumentata suscettibilità alla malattia a seguito di esposizione prolungata allo stress è stata oggetto di numerosi studi rivolti a scoprire i meccanismi attraverso cui lo stress modula la risposta immune. Ciò che è emerso, è una diminuzione della attività dai linfociti citotossici e delle cellule NK in concomitanza del verificarsi di stressful life-events e l’intensità del fenomeno si correla con la reazione emozionale dell’individuo all’evento.
Per giunta i disturbi depressivi sono altamente connessi a modificazioni immunologiche sia dell’immunità cellulo-mediata che umorale, quali: leucocitosi, aumento del rapporto T helped/T suppreseor, aumento della IL1, diminuzione IL2, diminuzione delle endorfine e dei linfociti NK. Le modificazioni neurotrasmettitoriali che si verificano in corso di depressione modificano la risposta immunitaria e sono in grado di influenzare il decorso di una neoplasia.
I dati di letteratura evidenzierebbero che l’esposizione a stressor elaborati con stile disadattivo provocano nell’individuo una riduzione della immunosorveglianza da parte dei NK, soprattutto a seguito di una grave perdita affettiva. Anche sotto l’aspetto dei comportamenti a rischio, questi soggetti possono presentare, tabagismo, assunzione di alcool, scorrette abitudini alimentari e non aderenza ai programmi di prevenzione in concomitanza alla depressione.
Infine alcuni autori hanno osservato nella loro pratica clinica, la remissione spontanea di alcuni casi di tumore. Si tratta di pazienti “miracolati” che sopravvivono oltre 10 anni rispetto alla prognosi prevista e con inspiegabile arresto della progressione della malattia. Probabilmente fattori psichici e di coping adattivo hanno ritardato, in questi casi, una risposta immunitaria favorevole nei confronti della malattia (fenomeno denominato “narrow wscape from death”) (Ikemi & Nakagawa, 1996) Questi pazienti presentano una mancanza di angoscia, una adeguata presa di coscienza della loro situazione clinica ed un forte carisma. Dal punto di vista immunoendocrino si riscontra una riduzione dei valori di cortisolo, una diminuzione dell’attività neurovegetativa simpatica, un rapporto favorevole Th/ Ts . Anche se rimangono dei case-report senza significatività statistica, rappresentano esempi da tener presente.
Quanto sopra esposto, a mio avviso, conferma la validità di un modello di rischio patogenetico multifattoriale per le neoplasie. Inoltre la relazione tra stress e insorgenza di tumori sembrerebbe mediata dal sistema immunitario e dal sistema endocrino. Su questa base si inseriscono i fattori ambientali, la vulnerabilità individuale, nonché lo stile di risposta e di adattamento allo stress (coping). E ancora difficile tradurre in una pratica clinica orientata alla prevenzione queste interconnessioni, mentre è possibile cogliere precocemente nel paziente la presenza di disturbi psichici come la depressione, l’insonia e l’ansia che possono influenzare la qualità della vita e il decorso della malattia e perdurare anche a distanza di anni della guarigione.
Dott. Lorenzo Flori
Bibliografia:
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