
A mio avviso lo è perché rappresenta un argomento basilare per poter prevenire e poter proporre interventi preventivi o su situazioni di crisi. Lo studio delle reti sociali, oggi, incomincia a diffondersi in maniera preponderante. Già, comunque intorno agli anni ’50 ad opera di antropologi; in particolare Barnes, studiò le relazioni tra gli abitanti di un villaggio di pescatori. L’antropologo rilevò che le persone che vivevano più in relazione (vicinanza, amicizia…ecc.) tra loro vivevano meglio, si ammalavano meno, mentre le persone che vivevano più isolate, non riuscendo a stabilire delle relazioni positive e più facilmente si ammalavano. Per questo dagli anni ’50 si è cercato di studiare in maniera più dettagliata la rete per capire quali sono gli elementi che giocano in maniera positiva sullo sviluppo, sulle condizioni, sulla qualità della vita delle persone. Prima di affrontare quelle che sono le reti bisogna considerare quello che è la prevenzione. In generale quando si pensa alla prevenzione è necessario considerare tre aspetti della stessa; ovvero la prevenzione primaria, la prevenzione secondaria e la prevenzione terziaria. La prima rappresenta il “momento” dell’azione che è precedente al danno (Francescato et al.1988), la seconda è un’ intervento sulla crisi (Druss, 1995) ed infine la terza rappresenta il miglioramento della qualità della vita dell’individuo a seguito di un danno. Rispetto questo modello i campi di applicazione degli interventi e le metodologie sono basate sul presupposto che prevenire è meglio che curare ovvero bisogna agire sulla salutogenesi. Fra le metodologie un contributo fondamentale è rappresentato dall’analisi di fattori predisponenti specifici all’interno del ciclo di vita, dalla prevenzione centrata sul sistema familiare, del livello demografico/strutturale. L’ attenzione viene posta sugli eventi del ciclo della famiglia particolarmente destabilizzanti intervenendo sul funzionamento familiare. L’ottica è dunque di potenziare (empowerment) l’individuo, la famiglia, la comunità focalizzando l’intervento sull’attivazione delle risorse e sull’apprendimento di nuove strategie, restituendo al soggetto un ruolo attivo (Rappaport, 1981). L’empowerment si prefigge un ruolo supportivo ed educativo, sostenendo il concetto di comunità quale risorsa, appoggio ed introducendo il concetto di rete (Francescato et al., 1995).
Ma cosa si intende per rete?
Quando si pensa alla rete, quello che si deve immaginare è proprio la rete come quella dei pescatori, una rete dove gli anelli stanno intorno alle persone ed un problema su un anello muove inevitabilmente tutta la rete stessa. Quindi la rete è la configurazione degli scambi comunicativi intorno all’individuo e all’interno di una comunità. Dagli studi sulle reti sono emerse delle relazioni tra la qualità della vita dell’individuo e la sua rete: ad es. è stato rilevato che soggetti con problemi di nevrosi tendono ad avere reti non coese o individui con problemi di schizofrenia hanno delle reti piuttosto disperse oppure bambini che hanno perso i genitori vivono meglio o si ammalano meno se si trovano in una rete stretta ( ad es. parenti, familiari). Per questo, se nei momenti di crisi una persona ha intorno una “buona” rete che lo supporta questi eventi critici sono più facilmente superati. L’agire nell’ottica della rete amplia, per il professionista, la visione della problematica che una persona può presentare. Il lavoro con la rete consente di porre l’attenzione su degli aspetti importanti, in quanto non ci troviamo di fronte solo all’individuo con il suo problema, ma tutta la rete che sta intorno all’individuo stesso. Nello specifico la psicologia di comunità si occupa delle reti, dei sistemi, delle relazioni tra sistemi, intorno all’individuo. Negli studi effettuati, sono stati approfonditi i concetti su quali siano le caratteristiche delle reti, distinguendole in: rete primaria formata dalla famiglia, dagli amici, dal partner, caratterizzata da un contenuto di affettività ed affinità che lega le persone tra loro; rete secondaria formale formata da istituzioni create per assicurare servizi alle persone che forniscono cura, assistenza, sostegno alle persone o gruppi che ne hanno bisogno; rete secondaria informale formata da associazioni di volontariato, i gruppi di auto aiuto; queste “agenzie” di sostegno nascono in maniera spontanea. Gli studi sulle reti hanno affrontato, oltre alle caratteristiche, anche la STRUTTURA DELLE RETI. L’analisi della struttura considera le seguenti variabili: Ampiezza: numero di persone/organizzazioni che appartengono alla rete; Densità: numero di relazioni duali tra i punti della rete; Frequenza: quanto spesso la figura centrale è in contatto con i punti della rete; Composizione: omogenea o disomogenea; Durata: periodo di tempo da cui la figura centrale è in relazione con i nodi della rete; Cluster: segmenti di rete con densità molto elevata.
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