domenica 19 luglio 2009

QUANDO IL CORPO SI AMMALA --I TUMORI--

Le componenti psicologiche ed emozionali che valenza hanno all’interno del quadro psicopatologico delle neoplasie? Tali fattori come possono interagire con quelli somatici? In che misura rientrano le variabili psicosociali nello sviluppo di queste importanti patologie? Questo articoletto vuol porre attenzione ad una branca delle scienze che ultimamente gode di particolare visibilità; ovvero la neuropsiconcologia.
Negli ultimi decenni la medicina ha compiuto importanti progressi nella conoscenza dei meccanismi eziopatogenetici alla base di molte malattie organiche. Spesso il ruolo del fattore psichico è rimasto in secondo piano, anche perché è difficilmente riproducibile e oggettivabile. Solo alla fine del secolo scorso sono state studiate le relazioni tra sistema nervoso, emozioni, sistema endocrino, e sistema immunitario (Panchieri & Biondi, 2002; Biondi & Grassi, 1995).
Il modello proposto da Engel di malattia come risultato di fattori bio-psico-sociali ha permesso di comprendere meglio i vari aspetti di molte patologie. Da qui la nascita e lo sviluppo della ricerca verso la psiconeuroimmunologia.
Tale termine è stato coniato nel 1981 da Robert Ader, direttore della divisione di medicina psicosociale e comportamentale dell’Università di Rochester a New York, per indicare un ambito disciplinare che studia i rapporti fra gli stati mentali e la fisiologia umana con particolare riferimento alla risposta immunitaria.
Tra la fine degli anni ‘60 e ‘70 sono state condotte numerose osservazioni attestanti il legame tra stati psicologici e sistema immunitario (USA: George Salomon, Robert Ader e Marvin Stein).
Ader fu il primo a dimostrare che il sistema immunitario è suscettibile di condizionamento mediante la procedura associativa classica. Ormai celebre è il suo esperimento nel quale somministrava ai topi saccarina insieme ad un farmaco (ciclofosfamide) in grado di indurre nausea e che portava i topi, per associazione, ad evitare la saccarina. Un effetto collaterale di quel farmaco era l’immunosoppressione. Quando, dopo tempo, iniettò negli animali solo saccarina, molti di essi morirono per immunosoppressione. Ader ipotizzò che un simile legame si potesse stabilire fra gli stati mentali (sistema nervoso) ed immunitari, in seguito a stress e a varie altre condizioni patologiche.
Altri studi hanno indagato l’interazione tra sistema nervoso e sistema immunitario riscontrando l’intervento del sistema endocrino, stimolato dai neuropeptidi liberati nel circolo sanguigno dalle cellule nervose, nella regolazione dei fenomeni immunitari e la presenza sui linfociti, cellule del sistema immunitario, di recettori per neuropeptidi e ormoni.
Studi sistematici evidenziano che il sistema nervoso centrale e il sistema immunitario comunicano attraverso diverse vie e strutture anatomiche come, ad esempio, il sistema libico (ippocampo e amigdala), molto importante nelle reazioni di adattamento allo stress e mediatore della risposta linfocitaria.
La psiconeuroimmunologia integrando anche il sistema neuroendocrino viene a definirsi come la disciplina scientifica che studia i rapporti di reciproca influenza tra sistema nervoso (stati emozionali), sistema immunitario e sistema endocrino, nelle loro implicazioni fisiologiche e patologiche.
Grande rilievo viene dato al possibile ruolo dei fattori emozionali e dello stress nella genesi e nel decorso di varie patologie somatiche, alle modalità di risposta emozionale di un paziente e alla sua strategia di coping nell’ influenzare la risposta immunitaria e l’andamento della patologia.
Questo atteggiamento clinico ancora non è riconosciuto appieno dalla medicina come scienza basata sull’evidenza; molti medici immaginano con difficoltà le conseguenze pratiche di uno stato immunosopressivo legato ad un lutto. Se da una parte è universalmente riconosciuta l’importanza di fattori come il fumo e le abitudini dietetiche, dall’altro i fattori emozionali restano “impalpabili”e difficilmente documentabili. Per giunta, pur riconoscendo un ruolo ai fattori psichici, risulta difficile riconoscerne i risvolti pratici nel trattamento. Un recente articolo apparso su JAMA (Hundson, Mertens et al., 2003) mette in luce l’importanza dei fattori psichici nell’insorgenza dei tumori. I dati disponibili nella letteratura riguardo lo stress e le neoplasie evidenziano sperimentalmente negli animali il rapporto tra stress, insorgenza e/o decorso dei tumori. Inoltre nell’uomo sono stati eseguiti studi controllati di tipo retrospettivo (Lillberg et al., 2003; Gonzales Perez, 2005) per indagare gli eventi stressanti prima della diagnosi di tumore rispetto a soggetti sani o con altre patologie, senza portare ad un risultato conclusivo. Tuttavia recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio condotto su donne ammalate di tumore al seno che sembrano confermare tale ipotesi (Romanelli M et al.).
Per quanto riguarda la patologia tumorale, la psiconeurobiologia del cancro riduce le variabili legate alla malattia a tre fattori e l’interazione di queste variabili aumenterebbe il rischio di sviluppare o meno le neoplasie. (Pancheri & Biondi, 2002; Biondi & Grassi, 1995)
Essi sono:

1. Rischio cellulare ovvero l’ attivazione di oncogeni, normalmente presenti in maniera silente nel patrimonio genetico cellulare, che una volta attivati possono indurre la proliferazione cellulare incontrollata.
2. Fattori ambientali la possibile attivazione di meccanismi cellulari di trascrizione e attivazione dell’oncogene da parte di sostanze cancerogene ambientali, o per abitudini di vita disadattive, per esempio la mancata adesione a programmi preventivi per la diagnosi precoce. Questi atteggiamenti possono essere dovuti a fattori quali il livello di istruzione, lo stato socioculturale, ma anche a meccanismi psicologici di difesa dalle angosce come il diniego, suscitati da tali argomenti. Evitare di sottoporsi a controlli preventivi permette di tenere lontana de sé l’idea angosciosa della possibilità di morire per un tumore. Spesso ciò che più è motivo di angoscia nel malato di cancro, non è la pura e semplice paura di morire, ma la probabile sofferenza che precede la morte.
3. Fattori psicobiologici legati alla vulnerabilità individuale e alle caratteristiche di personalità da cui dipende in parte il risultato della risposta allo stress. La capacità di far fronte alle avversità della vita è assolutamente diversa per ogni individuo. Si può ipotizzare che cellule pre-cancerose latenti e in equilibrio con l’organismo, possano replicarsi in modo incontrollato e afinalistico a seguito di una condizione di stress protratto e intenso, ma soprattutto non affrontato in modo efficace (coping disfunzionale). Inoltre in questi ultimi anni sono comparse su prestigiose riviste internazionali diverse review che hanno evidenziato una correlazione tra assunzione a lungo termine di antidepressivi e aumento del tumore al seno. Tale ipotesi seppur non confermata potrebbe essere spiegata anche con una peggiore capacità adattiva dell’individuo depresso con l’utilizzo di coping disfunzionali (Bahl et al., 2003).
Dott. Lorenzo Flori

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